22 Novembre 2015 Condividi

La Libia, il terrorismo e l’Islam politico: incontro all’Aquila

La Libia, il medio oriente, la minaccia terroristica e la minaccia di una guerra dai confini inediti. Quando il terrore diventa non solo un fenomeno globale, ma una condizione che fa breccia anche nelle singole realtà locali. Neanche L’Aquila fa eccezione dove, dopo i fatti di Parigi, sono stati disposti dei controlli straordinari in ingresso. Parte proprio da questo contesto il confronto al palazzetto dei Nobili promosso dall’associazione “L’Aquila che rinasce” e dal Centro studi Geopolitica.info (nel ciclo di incontri “Onda d’innovazione”).
Il punto di partenza della riflessione è anche la presentazione di una pubblicazione, intitolata “Libia 1911-2015” (Miraggi edizioni), frutto del lavoro di un gruppo di studiosi coordinati dal professor Folco Biagini (La Sapienza), che hanno provato a dare una lettura degli eventi che comprendesse sia la dimensione storica degli stessi, sia quella geopolitica. «Siamo in guerra, anche se diversa rispetto alla concezione di guerra cui eravamo abituati», valuta l’ex assessore regionale Mimmo Srour, di origine siriana, che nella giunta Del Turco ha avuto la delega alle relazioni con i Paesi del Mediterraneo.

«Dall’11 settembre in poi stiamo vivendo uno scenario inedito a cui nessuno in occidente era mai stato abituato», spiega. «Allo stato attuale stiamo facendo i conti con degli errori gravissimi da parte degli Stati Uniti e di tutti i paesi che vi sono allineati, a partire dalle ex potenze coloniali». Il riferimento è agli scenari dell’Afganistan – dove gli Americani per lungo tempo hanno armato le popolazioni locali spingendoli a intervenire contro l’ex Unione Sovietica – dell’Iraq, della Siria e della Libia.

«Il pericolo», aggiunge, «è che andando a immischiarsi con le “primavere arabe” si rischia di combattere guerre che non sono nostre. C’è da temere l’Islam politico, niente a che vedere con la religione, ma con i focolai estremisti che sfruttano la religione per il proprio tornaconto. Da Bin Laden, le Torri Gemelle, Al Qaeda non abbiamo imparato nulla», sottolinea Srour, anche lui di musulmano. «Quando la religione viene tirata in ballo per fini politici ci sono sempre problemi. I fratelli musulmani sono una sorta di primo stadio, da lì si avanza verso ai gruppi più pericolosi come Al Quaeda e Daesh – l’Isis». L’ex assessore fa poi riferimento alla storia millenaria della Siria, dove per secoli hanno convissuto 19 fedi religiose, indicando il proprio Paese di origine come esempio di convivenza e tolleranza. Di tutt’altro segno quello che sta avvenendo negli ultimi anni.

Secondo Arturo Diaconale, membro del Cda Rai, stiamo parlando di una guerra «interna al mondo islamico ma che le ex potenze coloniali che hanno interessi in quei Paesi e Stati Uniti e Russia. Noi ci entriamo solo in quanto alleati e come Stato membro della Nato e dell’Unione europea. Ma la nostra guerra non è lì, quanto nel bacino del Mediterraneo e nei Paesi che vi si affacciano, come Libia e Tunisia, la sponda sud del Mediterraneo è il nostro problema». Come garantire la sicurezza dei nostri territori? Tra le soluzioni indicate dal giornalista c’è la revisione delle politiche di accoglienza e delle modalità di ingresso in Europa e quindi in Italia.

Una riflessione di cui si fa carico anche Santangelo. «La crisi libica deve essere anche l’occasione per l’Italia per superare finalmente la visione ‘minimalista’ che sta ispirando “Triton”: i flussi migratori, che non sono un fenomeno né contingente né di breve durata, possono essere gestiti solo con un orizzonte politico di più ampio respiro e con la piena condivisione da parte di tutti i Paesi della Eu degli oneri e delle responsabilità di questa drammatica emergenza».

Nell’incontro, presentato dal direttore di LaQtv Luca Bergamotto, sono stati letti alcuni estratti del volume “Libia 1911-2015” che vede contributi di Andrea Cartheny, Gabriele Natalizia, Roberto Reali e dello stesso Salvatore Santangelo.