24 Gennaio 2014 Condividi

Alaska, troppi rischi nel turismo estremo: via il Magic Bus

intothewild di Vittorio Zucconi – WASHINGTON – Sta come la carcassa di  una balena di ferro caduta   chissà come nel  cuore dell’Alaska, che  attira, e uccide, incauti  cercatori di sogni. L’autobus numero  142, “the magic bus” nel quale  morì Chris McCandless nel mezzo dell’Alaska selvaggia quattordici anni  or sono cercando  una nuova vita “Into the wild”, nel nulla primitivo, è  da rimuovere.  Ogni anno, individui, stralunati  capitani Ahab in  caccia della loro balena bianca, convertiti dalla  lettura del libro di  Krakauer e dalla visione del film di Sean Penn, si avventurano nel  pellegrinaggio verso la carcassa dell’autobus. E i volontari, i  “trooper” dell’Alaska, i vigili del fuoco, rangers dei paesi vicini sono  stanchi di ripescare i semi-annegati nei guadi che diventano   improvvisamente rapide  tumultuose, dispersi prossimi all’assideramento o  alla morte di inedia. Se, e quando, arrivano in tempo.
Per anni, la  carcassa del vecchio  scuolabus giallo riverniciato di bianco numero di  matricola 142 usato per trasportare braccianti  a una miniera di  antimonio poi chiusa e abbandonato quando  si spezzò un semiasse, era  rimasto  in un angolo di nulla fra il massiccio del Monte McKinley, il  parco naturale del Denali di seimila  acri, 24 mila chilometri quadrati   (l’intera Lombardia) e Fairbanks,  distante 500 km. Ignorato fino al  1992, quando un ragazzo cresciuto negli addomesticati sobborghi di  Washington, Chris McCandless, ne scoprì l’esistenza.
Sentì il richiamo  della foresta e dopo un trekking di quasi seimila  chilometri lo  raggiunse. Con viveri per pochi giorni, un sacco a pelo e la certezza di  potersi  nutrire di quello che la natura  attorno a lui offriva, da  piccoli roditori a porcospini a bacche ed erbe, Chris fu trovato per  caso, morto, dentro il sacco a pelo nell’autobus  ormai senza vetri ed  esposto ai meno 40 gradi che soffiano  dal ghiacciaio vicino e dal Polo.  Lo trovarono cacciatori che inseguivano alci lungo il “Sentiero  del  panico”.
Furono prima un articolo intitolato  “Morte di un innocente” scritto da John Krakauer per la rivista Outside nel 1996  poi divenuto  libro e il film “Into the Wild” voluto  da Sean Penn a  scatenare sotto  la comoda pelle dell’America suburbana il cuore mai  spento del pioniere che pulsa dentro questa nazione.

In Alaska troppi turisti estremi: addio al bus di "Into the Wild"

Chris si era  portato  due libri, uno di Jack London, l’Omero di queste terre  meravigliosamente  crudeli, l’altro di Lev Tolstoj. Ma attorno a lui, al  culto della “wilderness”, all’ossessione della ricerca di una nuova  frontiera  e di una nuova vita, ruotavano secoli di letteratura  avventurosa, il bisogno di «andare via», la voglia di primitivismo, da  London a Conrad, da Melville a Kerouac a Thoreau. Coagulati nel rifiuto  della  società dei consumi e dei sobborghi,  dall’alienazione del  Giovane  Holden.
Ma l’Alaska, con le sue dimensioni  pari a cinque  volta l’Italia e una popolazione pari a quella di Genova, non è un film,  non è letteratura.
Se il mito, e la popolarità  dell’Ultima Frontieracontinuano a crescere allagando i canali televisivi   con le stupende corse di slitte,  gli abitanti, i locali, i nativi  Inuit, conoscono la realtà di quel mondo.  Invano avvertono tutti i  “sandalistas”,  come ironicamente sono  chiamati in Centro America gli  americani con gli occhi sgranati in cerca di avventura, che quella terra  è spietata. I rangers raccolgono ogni anni i resti spolpati di  campeggiatori che alzano le loro tendine nelle valli del Denali a  primavera, quando le orse partoriscono  i loro cuccioli, per essere più  vicini a quei meravigliosi animali  e ai goffi, soffici, teneri piccoli.
Ma  la trappola del “Magic Bus” numero 142 non sono gli orsi bruni,  è  l’acqua. Per raggiungerlo, i pellegrini che vogliono pagare tributo a  quel ragazzo che aveva applicato  fino in mondo il proprio motto,  «stare fermi è esistere, viaggiare è vivere», devono guadare  due  piccoli corsi d’acqua, il Teklanika e il Savage, “il Selvaggio”.   Facilmente attraversabile, nei periodi di siccità, il Teklanika, che  Krakauer nel suo libro considera  il “Rubicone” dal quale il ritorno  è  spesso impossibile, si gonfia e si trasforma sotto la pioggia in un  mostro che trascina senza  preavviso chi tenti di guadarlo a piedi o a  bordo di patetici canottini  gonfiabili, i soli che possano  essere  portati a braccia. Fu nelle acque del Teklanika che una pellegrina  svizzera venne inghiottita  e uccisa.
Sono un milione e mezzo i  turisti  che ogni anno raggiungono l’Alaska, una delle terre più  affascinanti  del mondo, ormai anche in crociere che si addentrano nei  grandi fiordi e duecentomila coloro  che tentano le imprese del  trekking. Gli abitanti, dagli Inuit ancora attestati nei loro villaggi  agli organizzatori di tour sanno che il turismo è, dopo il petrolio, la  maggior fonte di ricchezza per lo Stato. La magia delle notti artiche  e  dei giorni senza buio, la caccia  alle aurore boreali, la sensazioni   di trovarsi in un mondo che non esiste più, attraggono fino al rischio  della vita, perché, come anche lo brochure di viaggio ripetono,   «l’Alaska non perdona». Non ci sono margini per imprudenze  o errori,  laddove, come attorno  al monte McKinley che ha un proprio, autonomo e  imprevedibile  microclima, la città più vicina può essere a 500  chilometri.
Furono naturalmente proprio i rischi, il gusto di gettare la propria vita oltre i confini della quotidianità, a  spingere verso quella carcassa  rugginosa di balena «Alexander  Supertramp», come voleva essere chiamato, il Supervagabondo  nel 1992. E  a spingere i locali a chiedere oggi di sollevarlo con un elicottero e  trasportarlo nel piccolo abitato di Healy, raggiungibile  in automobile.  Per l’Alaska Dispatch, racconta il Guardian di Londra,  «l’Ossessione per McCandless» è incomprensibile, come lo è
la  beatificazione di un giovane inquieto che il quotidiano bolla come «un  inetto, un ladruncolo,  un bracconiere incapace anche di mantenere se  stesso, un impostore». Ma se il “Magic Bus” 142 non sarà rimosso, il  pellegrinaggio  continuerà perché i miti sono sempre più forti delle  paure, delle mamme e dei buoni consigli.  E nessuno è più ascoltato, in  America, del richiamo di quella balena bianca chiamata libertà.

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