7 Gennaio 2014 Condividi

L'Aquila, l'arcivescovo Petrocchi: niente futuro in una città senza giovani

Immagine«Senza avere bene a cuore il tessuto sociale di questa città, a partire dalle giovani generazioni, non ha senso ricostruire». Il corridoio del pronto soccorso dell’ospedale San Salvatore è certo un luogo insolito dove vedere l’arcivescovo Giuseppe Petrocchi interagire con la gente e dispensare pareri. Niente mozzetta, niente abito talare, al posto dello zucchetto un normale cappello. Di fatto, per monsignor Petrocchi non si tratta di una visita pastorale ma di controllo medico dopo una caduta. Un incidente domestico, fortunatamente non grave, che lo ha spinto a rivolgersi al presidio medico per un antidolorifico e un controllo.

Tra un esame e l’altro, il presule non rinuncia a parlare con i pazienti, a sentire le loro esigenze, le loro storie personali, condividendo con i presenti le sue idee per L’Aquila e dispensando la sua ricetta per far fronte alla crisi socio-economica, «ma anche morale», che affligge questa città. Una serata diversa, anche per medici e infermieri di turno al triage. «Sapevo bene che il compito di guidare questa diocesi sarebbe stato tutt’altro che facile», spiega mentre parla con una signora appoggiata a una barella. «Ho deciso, in questa prima fase, di dedicarmi all’ascolto. Voglio capire quali sono le problematiche all’interno della comunità e come affrontarle, sulla base di esigenze di ricostruzione, ma anche di istanze legate alla ricomposizione del tessuto sociale».

Un fattore, quest’ultimo, che l’arcivescovo giudica come prioritario. «In questa città vedo talvolta troppo individualismo e troppa litigiosità», spiega. «Preferiamo restar soli a perseguire i propri obiettivi, rischiando anche di rimanere prigionieri di noi stessi, quando invece serve camminare insieme per perseguire il bene comune. Una necessità primaria almeno per quelli che sono i percorsi fondamentali da intraprendere per questa città». I problemi sono tanti, dalla consapevolezza che l’iter di ricostruzione non potrà – giocoforza – seguire i tempi del cronoprogramma, alle numerose aziende che chiudono i battenti, a partire dalle imprese commerciali, lasciando una città sempre più povera. Un corto circuito nell’economia dell’area del cratere che rischia di avere forti ripercussioni sulla situazione lavorativa di migliaia di persone, in un contesto provinciale in cui le ore di cassa integrazione sono passate dalle 70mila del 2008 a 1 milione del 2013. Il presule non nasconde che le sue prime attenzioni sono rivolte ai giovani, sia in relazione a una città che si svuota, sia in merito a quali prospettive garantire alle famiglie che restano.

«Non me ne voglia», dice l’arcivescovo rivolgendosi a un giovane padre, «se le confesso che mi preoccupa molto più la sorte dei suoi figli che la sua. La generazione dei 30enni e dei 40enni dovrà fare di tutto per dare un futuro ai più piccoli». L’Aquila deve fare i conti con dati allarmanti relativi al comparto scolastico, con oltre 800 iscritti in meno rispetto a prima del sisma, quando si contavano 11181 alunni. Un’emorragia che aumenta, però, di anno in anno. «Proprio per questo, per contrastare il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione», valuta Petrocchi, «è importante creare strutture e sistemi in grado di dare una risposta alle esigenze dei giovani. Così come aveva detto nel videomessaggio di auguri divulgato in occasione del Natale, «dentro ogni situazione, per quanto intricata e dolorosa, c’è sempre una via di uscita. Serve però una consapevolezza collettiva».

di Fabio Iuliano – fonte il Centro